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Una stanza in Italia: Napoli

  • Immagine del redattore: Antonella
    Antonella
  • 1 giu
  • Tempo di lettura: 2 min
La luce tra le riggiole, una stanza con il Vesuvio nel cuore.

Una stanza a Napoli
Una stanza a Napoli

C’è una stanza al terzo piano di un palazzo color tufo, con i balconi in ferro battuto e la vernice scrostata che racconta più di mille restauri. Siamo nel cuore di Napoli, dove il tempo non scorre: pulsa. In una di quelle case del centro antico, costruite su fondamenta greche, che hanno ascoltato il latino, cantato in dialetto, e trattenuto il respiro durante i moti del ‘48.


Appena entri, senti odore di caffè, ma non quello da bar. È quello preparato nella caffettiera di famiglia, nera di memoria, su un fornello che borbotta piano accanto a un piatto di melanzane impanate, pronte per la cena anche se è solo mattina. Sul tavolo basso, accanto alle tazzine sbeccate, c’è un libro aperto su una pagina di Benedetto Croce, che qui visse e scrisse guardando lo stesso mare. Sulla sinistra c’è una madia di legno, lucidata con olio di gomito e rispetto. Dentro: tovaglie ricamate, sacchetti di lavanda e fotografie in bianco e nero. Sopra: una statuina di San Gennaro in terracotta rossa, realizzata dai maestri del quartiere San Gregorio Armeno, accanto a un limone enorme, ancora fogliato. L’artigianato napoletano, in questa stanza, non è decorazione: è identità. È la mano che ha modellato il presepe, la ceramica, il ferro, il cuoio.


La finestra è sempre aperta, perché Napoli è voce, vento e Vesuvio. Entra il profumo del mare, misto a quello del bucato steso tra un balcone e l’altro, in quei fili tesi come corde vocali da cui penzolano magliette, confidenze e canzoni. Fuori, si sente una donna che parla in dialetto al telefono, con la voce di chi comanda e carezza nello stesso fiato. Dentro, invece, il tempo è sospeso. Una poltrona damascata ha ancora impressa la forma di chi ha letto per ore. Il pavimento è in riggiole dipinte a mano, blu e oro, come quelle del chiostro maiolicato di Santa Chiara, a pochi passi da lì. Il soffitto ha le crepe leggere di chi ha visto guerre, nascite, amori urlati e perdonati. Sul muro, una stampa antica della Napoli borbonica affianca una cornice senza quadro - perché qui, anche il vuoto ha qualcosa da dire.


Questa stanza è tutto: arte e disordine, sacro e quotidiano, malinconia e teatro. È la madre, la figlia, la nonna e l’amante. È Napoli che si siede con te, ti guarda dritto negli occhi e poi ti offre un babà senza chiedere nulla. È una scena del '700 scolpita nella vita moderna, dove Caravaggio avrebbe trovato la luce giusta per un miracolo, e Totò una battuta perfetta per ridere e piangere insieme. Quando esci, porti via qualcosa che non sai spiegare. Forse è solo la voce di questa stanza che continua a parlarti da dentro. Come Napoli: non la puoi raccontare davvero. Ma una volta che l’hai toccata, non ti lascia più.

-Una stanza in Italia - Antonella-



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